old fashioned

OLD FASHIONED

“Una strada alberata di aperta campagna, sto camminando assieme a tante formiche, che poi sono quelle formiche giganti di campagna. Solo più giganti. Cammino uguale a loro con le braccia e con i piedi per i ciottoli. Ci dirigiamo verso una casa con i muri esterni bianchi. La luce riflette sulle pareti e mi acceca la vista. La casa, avvicinandomi, sembra enorme ma familiare. Ha quel  sapore di infanzia, la mia infanzia, che è di terra e braciere. All’interno pochi mobili e anche lì è tutto bianco. Smetto di camminare come una formica, ché mi accorgo che sono ben in piedi a girovagare per il salone. Le formiche mi hanno abbandonato ma sento una voce femminile provenire dal piano di sopra. E allora mi fiondo su correndo per le scale che si muovono da sole, ma al contrario: hai presente le scale mobili? E non riesco quindi a raggiungere nulla. Vedo solo un soppalco e una voce che urla: “E’ stato lui. E’ stato lui.” E allora mi giro e guardo sto tizio da fuori alla finestra che si sta allontanando, come se avesse fatto qualcosa di losco. Ma non capisco. È tutto così confuso e sbiadito. Vedo solo un tizio correre lontano per la finestra, con le formiche. E sono rammaricato. Non so il motivo. Quindi giro a vuoto per il salone, incappando in un baule di legno. Sembra una cassapanca, neanche tanto vecchia. È chiusa e mi sveglio.
Vedi, il punto è che io ricordo anche come ci sono finito in questo posto: ero in una cazzo di biblioteca piena di libri e dischi. Cioè non so se fosse una vera biblioteca, ma ero convinto che lo fosse. Tutto aveva l’aria della biblioteca. Però ci trovavi solo vecchi anziani seduti. A me tutto sembrava sconosciuto: copertine di libri e dischi che mai avevo visto, così come gli autori. Roba inesistente, aliena. E sento questo vociare che mi arriva alle orecchie e ho l’impressione che si stia parlando di me. Che si stia parlando male di me. Lo sento, lo avverto. Ne sono sicuro e mi giro verso una finestrella minuscola dove trovo due clessidre di plastica in funzione. Hai presente quelle clessidre piccole dei giochi da tavolo? Appena le guardo si fermano. E si ferma anche il vociare dei vecchi. Quindi in un battibaleno mi ritrovo in casa mia, quella a Napoli e non so come spiegartelo, ma tutte le stanze erano diverse. Dove c’era lo studio trovo il bagno. Dove c’era la cucina trovo la stanza da letto. Che strano! Comunque al cesso c’è mia madre che mi chiede una mano per tirarla fuori dalla vasca ma sento solo il rumore dell’acqua scorrere forte. Non c’è nessuno. Poi sento un’altra voce e so che è qualcuno che conosco. E inizia a parlarmi di cazzi. Soprattutto di uno dei cazzi disegnati sulle mattonelle, ma non vedo nulla. Mi sforzo di vedere questo famigerato cazzo sulla mattonella e mi interrogo su chi possa averlo disegnato nel cesso di casa mia. Quindi niente. Ho la sensazione di avercelo duro e poi mi ritrovo in campagna con le formiche.”
“Sei lacerato dai sensi di colpa.”
“Cazzo vuol dire?!”
“Quello che ti ho detto.”
“Vabeh, facciamoci un drink.”
“Finalmente! Ora hai parlato bravo.”
“Ma hai ascoltato quello che ti ho detto?”
“Sì, hai detto di prendere un drink. Andiamo all’Exit?”
“Piove.”
“Ma l’Exit è al chiuso. Cazzo dici?”
“Piove, dentro e fuori.”
“Ok dude, ho capito l’antifona. Offro io.”
“Stacazzo di Londra.”
“Sticazzi Londra.”
“Fanculo la regina.”
“Viva il re.”
“Old Fashioned?”
“Old Fashioned. Però deve farmelo coi cazzi.”
“Chiaro.”

Diego Astore

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